Il rischio della nostra esistenza è quello di fare e dire troppe teorie. Per evitare questo è sempre bene tenere a mente le tre necessità fondamentali della nostra vita: Dio, la Morte, il Sesso (inteso come “separatezza”), in quanto la loro considerazione non ha bisogno di supporti teorici. Il nostro fine è quello di smettere di fare teorie per pervenire al niente, al non sapere.
Tutti i saperi sono teorie. La teoria è una pratica che ha una finalità ben precisa: quella di allontanare dal necessario. Le teorie rispondono ad un valore di uso, esse sono buone fino a quando non ci si scambia teoria l’un con l’altro. Comunque tutte le teorie hanno una finalità pratica.
La filosofia eterna inizia con il terrore, la filosofia moderna inizia con il dubbio. Il dubbio è l’imborghesimento del terrore. Esso crea una spazio in cui l’individuo pensa di potersi muovere liberamente costruendo teorie le quali sono necessarie per non guardare in faccia ciò che è necessario.
Il termine “teoria” non ha nulla a che fare con il termine “teoresi”, intesa come speculazione pura senza finalità pratiche. La parola “teoria” è composta, a sua volta, a due parole: “teo” e “orao”. “Teo” significa “correre velocemente”; “orao” significa “vedere”. Da questo significato etimologico si comprende che “teoria” significa proprio allontanarsi, un fuggire dopo aver visto. La teoria è tutto ciò che noi costruiamo, che mettiamo su per sfuggire dalle cose tremende che abbiamo visto. Aristotele affermava che la filosofia inizia con la “meraviglia piena di paura”, perché non si riesce a mantenere lo sguardo fisso sulle necessità.
Anche la teologia è una teoria. Essa nasce essenzialmente da una “teopatia”, è quindi non è altro che un costruire una teoria per sfuggire dal concetto vero di Dio. La teologia è un modo di prendere le distanze da Dio. Il concetto di Dio sfugge dalla nostra capacità di individualizzazione e questa cosa ci offende, ci fa star male.
Una teoria, per esempio, messa su per sfuggire al concetto di Dio è proprio quella secondo cui Dio ci ha creati per amore. Questa affermazione è un assurdo, in quanto Dio non può amare un essere che non esiste ancora. Ma se Dio ci amava, significa che noi esistevamo da sempre – ancora un assurdo. L’affermazione “Dio ci ha creati per amore” nasce proprio perché non si riesce ad accettare il concetto di Dio come impalpabile, inconcettualizzabile. L’unica cosa che si può pensare di Lui è che è impensabile, che dinanzi a Lui bisogna abbassare lo sguardo e tacere.
Le teorie hanno valore per quanto sono logiche, ossia per la coerenza interna del sistema, ma non appena si pone la domanda sui suoi principi primi ci si accorge che non c’è più risposta.
Oggi le teologie non sono più teorie logiche, bensì teorie estetiche, che soddisfano piacevolmente l’uomo sull’interrogativo riguardo la sua esistenza. L’ultimo grido delle teorie teologiche è la “teologia della narrazione”. I teologi della narrazione pongono estrema importanza sul modo di raccontare, di narrare Dio, Gesù, la loro esistenza, senza preoccuparsi dell’effettivo significato di ciò di cui si parla: basta solo raggiungere l’obbiettivo, che è il “narrare”. La narrazione ci salva, ci fa star bene. La vita è un attimo, la narrazione è eterna. Noi siamo nati per caso e la narrazione offre il senso alla nostra vita. Così ragionano i filosofi esteti della teologia narrativa. La teologia è solo un fatto estetico, è vera solo perché piace, è bella e ci soddisfa.
La religione è un grande atto di pacificazione universale in quanto è nata per contrapporsi all’idea dell’Assoluto che corrompe e distrugge tutti i concetti. Prendiamo, ad esempio, il primo capitolo del “Genesi”, per capire come si possa, a partire da una frase, creare una teoria senza capire per bene le motivazioni vere per cui quelle parole sono state scritte. In quel capitolo si narra che Dio fece ordine sulla terra, creando e dividendo i luminari del giorno da quelli della notte, le acque di sopra da quelle di sotto, divise la terra dalle acque, distinse gli animali, ecc.; insomma tutta un’opera distintiva che ci mostra non tanto un Dio creatore, quanto un “Dio ordinatore” delle cose, concetto molto importante nelle Sacre Scritture. I preti sono i tutori dell’ordine, della legalità, del “permesso” e del “vietato”. Il senso del primo capitolo del “Genesi” è, quindi, l’importanza del mantenimento dell’ordine nelle cose, del porre un limite affinché il desiderio non dilaghi, perché se il desiderio dilagasse si creerebbero delle situazioni che porterebbero a rivalità e a guerre tremende all’interno della società.
Gli antichi avevano imparato a dividere, separare, porre un argine affinché il desiderio non dilagasse. “Divide et impera” dicevano i romani, sottolineando la regola fondamentale, nella società, del permesso e del proibito, del consentito e del non consentito. Essendo questo un problema primario della sfera sociale, la classe sacerdotale inventò questa teoria sulla creazione, in cui Dio appare come il primo ordinatore: Dio ha messo tutto in ordine e quindi anche noi dobbiamo mantenere tutto in ordine, senza straripare mai. Questa è la teoria che i sacerdoti ricavavano dal primo capitolo del “Genesi”.
A questo punto ci verrebbe da pensare che tutta la Sacra Scrittura sia un insieme di favolette. In effetti sono favole, ma sono importantissime in quanto tirano in ballo sempre i desideri umani. Leggendo la Sacra Scrittura non conosciamo Dio, ma noi stessi: attraverso questa “mitopoietica”, che è l’attività di esternare dei miti, possiamo capire cosa abbiamo dentro di noi. L’ironia eccellente della Sacra Scrittura sta proprio nel fatto che dopo aver raccontato tutto questo bell’episodio sulla messa in ordine delle cose da parte di Dio, furono creati l’uomo e la donna, fatti a immagine e somiglianza di Dio e messi su questa terra con l’invito a crescere e a moltiplicarsi, ma non con il compito di “dominare” la terra, bensì di “stuprarla”, nel senso di distruggere la terra e l’immagine di Dio nell’uomo: crescete e distruggete tutto su questa terra. Quindi, nei primi capitoli del “Genesi”, prima avviene la fase della istituzione – della messa in ballo -, poi la fase della destituzione. L’umanità verte sempre, quale suo fondamento, sul movimento del costituire e destituire. Questo desiderio di fare e disfare, costruire e distruggere, rileva proprio quanto noi siamo teopatici, perché abbiamo dentro di noi il concetto di Dio.
La comunicazione è solo in superficie. La comunicazione di sé, di ognuno di noi, è semplicemente impossibile. Una volta capito questo, veniamo assaliti dalla paura e per difenderci mettiamo su una teoria.
L’attività sessuale, per esempio, è la teoria del sesso, messa in atto per allontanare da noi la convinzione che, per quanto possiamo sforzarci di stare con gli altri, alla fine siamo sempre riconsegnati a noi stessi, che ci piaccia o no!
La musica è la teoria del rumore, creata per sfuggire all’orrore che il rumore comporta. A questo punto hanno ragione i depressi i quali affermano che non esiste nulla di cui essere contenti. Niente prova che noi siamo qualcosa più che niente. Chi non è convinto del suo nulla non è sano di mente.
Difficile è sfuggire alla teoria: ecco perché i saggi non parlano mai, perché sanno che non appena si comincia a parlare si fanno teorie. Il silenzio ci porta al cuore del problema. Noi non abbiamo una profonda formazione riguardo al “timore di Dio”. Il “timore” è diverso dalla “paura”. Il timore – dal greco “timao” – è una ammirazione mista a stupore che fa diventare pensoso e distoglie la mente dal bisogno di fare teoria. Magari avessimo capito bene cos’è il timore di Dio; noi invece abbiamo trasformato questo concetto, senza comprenderlo, in paura di Dio.