Che cos’è la psiche? La psiche è l’integrazione di tre sistemi: il sistema della conoscenza, il sistema dell’emozione, il sistema della volizione.
La psiche è l’articolarsi di questi tre sistemi (la conoscenza – l’intelligenza -, l’emozione e la volontà). È chiaro che per avere una persona equilibrata è necessario che questi tre sistemi si sviluppino in maniera equa e poi si integrino l’uno con l’altro.
Esempio di persone non equilibrate le abbiamo all’Università, in cui troviamo persone eccellentissime per quanto riguarda il sapere e la conoscenza, ma infantili dal punto di vista dell’emotività e ancor di più da quello della volizione.
È necessario che i tre sistemi si sviluppino equamente e si integrino: allora si ha la persona equilibrata e matura. I tre sistemi devono funzionare insieme.
Il sistema che più si sviluppa è il sistema della conoscenza, cioè dell’intelligenza, con tutti i suoi antecedenti e susseguenti. Infatti non c’è conoscenza, non c’è intelligenza se prima non c’è la sensazione, la percezione.
E così anche l’emozione. L’emotività non ci può essere se prima non c’è l’affettività. Se non si viene prima affetti da qualcosa, non ci si può “emuovere”, cioè muovere. È l’affettività, è la ferita che ho ricevuto attraverso l’affezione che mi spinge a fare qualcosa. Per esempio: una persona che ha un carattere coriaceo è difficile che si affezioni e quindi che abbia emozioni, perché tante sono le emozioni quante sono le affezioni.
Il terzo sistema è quello della volizione. Facciamo un esempio: una persona che ha idee ossessive, che ha comportamenti compulsivi, non avrà la capacità di volere, non sarà lei a volere, ma saranno queste idee ossessive, questi comportamenti compulsivi, queste coazioni a ripetere, che la spingeranno e la determineranno a fare qualcosa.
Quindi la psiche è il compendio, il riassunto tra questi tre sistemi diversi ma integrati.
La psicologia studia l’essenza e lo sviluppo di queste tre sfere. La psicopatologia studia, invece, i deficit di ciascuno di questi sistemi e della integrazione dei vari sistemi.
Una volta arrivati alla patologia nasce il problema della cura. A questo punto abbiamo la psicoterapia e la psichiatria.
La psichiatria cura il soggetto soprattutto attraverso il controllo farmacologico dei neurotrasmettitori (dopamina, acetilcolina, adrenalina, noradrenalina, serotonina, ecc.), cioè sostanze prodotte all’interno delle cellule nervose, che attraverso gli assoni formano sinapsi con altri assoni e quindi con altri neuroni, creando un sistema integrato di trasmissioni che permettono il buon funzionamento del sistema nervoso centrale.
Il deficit consisterebbe – secondo la psichiatria di impostazione biologica – nel deficit di questi neurotrasmettitori. Può trattarsi di deficit, ma anche di sovrabbondanza, perché ci sono malattie psichiche che dipendono dalla sovrapproduzione di queste sostanze. Quindi, noto che si tratta di sovra o sotto produzione, si utilizza il farmaco per regolare l’eccesso o il difetto di queste sostanze.
La psicoterapia è anche una cura dei deficit psichici, però, come dice la parola, è una terapia attraverso la psiche, cioè si cura la psiche attraverso la psiche. La psiche del soggetto che presenta dei deficit psichici viene curata attraverso la psiche. Se il deficit, per esempio, è emotivo, allora viene curato attraverso l’emotività dello psicoterapeuta; se il deficit è volitivo, viene curato attraverso la capacità volitiva dello psicoterapeuta.
DOMANDA: Perché l’affezione spinge all’emotività?
RISPOSTA: Per il principio di stimolo, cioè ogni affezione che io ricevo comporta un attrezzarsi, un aggiustamento della mia psiche e quindi una risposta con una modalità. Facciamo un esempio. Io non so che il cane morde: vado a giocare con il cane e questo mi morde. Ho ricevuto un’affezione. Questa affezione la integro nel mio sistema conoscitivo-emotivo-volitivo, per cui quando andrò nuovamente davanti al cane non gli metterò la mano in bocca, ma starò attento a mantenere la dovuta distanza. Quindi l’affettività, ciò che ho ricevuto, viene integrata nel sistema e cambia la modalità di rapportarmi alle cose.
DOMANDA: Che senso ha parlare di corazza?
RISPOSTA: La corazza è un meccanismo di difesa. I meccanismi di difesa servono ad evitare ulteriori affezioni in modo che non ci si debba poi sforzare nel ristrutturare il proprio sistema integrato per rispondere all’altro, cioè per evitare lo stress, che può venire per rispondere ad altre stimolazioni.
RISPOSTA: In queste cose non si riesce a capire che cosa sia bene e che cosa sia male. Quando si va nel campo della psiche, distinguere bene e male è fuori posto. La corazza si usa fino a quando serve, quando non serve più la devi buttare. Nei problemi della psiche si usa una logica economica, cioè fino a quando il sistema è economico lo tieni, quando il sistema non è più economico lo butti. In alcuni casi i meccanismi di difesa servono, altrimenti si corrono grossi rischi: un “io”, per esempio, che ha i confini fragili, se non ha i meccanismi di difesa e si lascia invadere continuamente, diventa un “io” psicotico, diventa una personalità molteplice, non sa più chi è. Quindi, a volte è necessaria, la corazza, come mezzo transitorio. Anche lo psicoterapeuta può essere usato come difesa, per una fase transitoria. I famosi “oggetti transizionali” possono servire per accompagnare e rendere meno traumatico il distacco da figure forti: la famosa “coperta di Linus”, per esempio, che dovrebbe rappresentare la madre. Poiché il distacco immediato dalla madre sarebbe traumatico, questa coperta ricorda la figura della madre; è un oggetto transizionale.
C’e’, poi, il tipo pauroso, che la corazza la vuole tenere sempre.
La grande suddivisione, oggi trascurata, è tra nevrosi e psicosi, ove per psicosi si intende una fase molto grave ed acuta, per nevrosi una fase più leggera. Secondo me questa distinzione dovrebbe essere ripresa, ritrovata, perché è fondamentale ed è legata ai problemi dell’“io” e dei suoi confini: se i confini dell’“io” sono continui, ma un po’ rigidi, abbiamo un “io” nevrotico, un “io” che sta quasi sempre in difesa; se abbiamo un “io” con confini molto elastici, molto frastagliati, molto penetrabili, allora abbiamo un “io” psicotico, perché si lascia attraversare da cose, da oggetti che entrano ed escono continuamente. Il problema della delimitazione dello spazio interiore è importantissimo. Ritagliare il proprio spazio per ritrovarsi.
Che cos’è, allora, la psicoanalisi? Un errore che possiamo fare è legare la psicoanalisi strettamente ed univocamente a colui che è stato il fondatore della psicoanalisi, Freud. Ci dobbiamo convincere che non c’è solo la psicoanalisi di Freud, ma tanti modi di fare psicoanalisi (Jung, Adler). È chiaro che tutti devono qualcosa al fondatore, al capostipite, che è Freud, ma poi arrivano, a volte, a dare un impianto teorico completamente diverso da quello del loro padre fondatore.
Anche la psicoanalisi è andata incontro a quel fenomeno che si chiama “l’uccisione del padre”. Dall’uccisione del padre deriva la civiltà, deriva la cultura, derivano le nevrosi e derivano le psicosi. Quello che Freud aveva ipotizzato come fondamento della storia umana, avviene anche per la psicoanalisi. Il dogma freudiano – se per dogma intendiamo un postulato inverificabile, ma necessario per spiegare il resto – è proprio l’uccisione del padre. Freud non ha assistito all’uccisione del padre, però deve ammettere che è stato ucciso il padre primordiale, perché ci sia lo sviluppo dell’umanità. Se il padre non viene ucciso la Storia non inizia. La storia della psicoanalisi comincia proprio quando Freud viene “ucciso”, non fisicamente, ma moralmente, nella sua autorità. Sia Jung, sia Adler, che erano suoi seguaci, erano medici e capirono l’importanza dell’impianto teorico freudiano e quindi credettero bene di aderire a questo movimento psicoanalitico.
Tradirono e uccisero il padre, cioè Freud, cosa che Freud aveva sempre temuto, ma che era necessaria. La storia della psicoanalisi comincia proprio dalla frantumazione del monolita psicoanalitico freudiano in tre grandi correnti che sono quella freudiana, quella junghiana e quella adleriana. La psicoanalisi incomincia con Freud, ma la storia della psicoanalisi incomincia col tradimento e con l’uccisione di Freud, qualcosa che egli aveva temuto.
I due che temeva di più erano proprio Jung e Adler, ma soprattutto Jung. Freud cercava di fare di Jung un suo “alter ego”, ma sapeva bene che proprio l’alter ego è quello che ti ammazza (“teoria del doppio impossibile”, per cui uno è di troppo e se ne deve andare). La psicoanalisi quindi non è legata solo a Freud.
L’assunto centrale della psicoanalisi freudiana è l’inconscio. Ma anche qui c’è una frantumazione. Ci sono molti modi di intendere l’inconscio, diversi da quello freudiano. Il merito di Freud è di averci richiamati ad una attenzione maggiore su ciò che sfugge alla coscienza; è quello di averci fatto capire che non si può ridurre l’uomo soltanto agli elementi coscienziali.
Tutta la critica che Freud fa alla coscienza – nel senso di “vigilanza”, non la coscienza morale – è una critica maligna. Dice Freud: “Finora tutti quanti avete pensato allo spirito, d’ora in poi vi farò pensare all’inconscio”, e citava una frase: “se non posso scomodare quelli che stanno sopra, muoverò l’acheronte – cioè gli dei degl’inferi”. Questa volontà di trovare sempre una contraddizione tra coscienza e inconscio è una volontà che a volte diventa perversa. Non posso ritenere che tutto ciò che è inconscio sia cattivo. Questa è un po’ l’idea freudiana. L’inconscio è il cattivo, il maligno, mentre la vita cosciente è la parte buona. Però, siccome la vera realtà umana è l’inconscio, l’uomo è, profondamente, un depravato. Quindi la coscienza, o la sublimazione, è solo un meccanismo per sentirsi buono, ma in fondo l’uomo è un depravato.
C’è questa volontà un po’ maligna di descrivere l’uomo, un po’ aprioristica, forse perché si trovava in un momento particolare della storia dell’Europa: non c’era da farsi tante illusioni sulla bontà degli esseri umani.
Tutti gli sforzi che l’uomo fa di apparire buono – secondo Freud – non sono altro che coperture di istinti e di pulsioni, tanto che Freud afferma che non c’è civiltà se non c’è repressione.
Per Jung, invece, l’inconscio non ha questa valenza negativa, anzi ha una valenza positivissima. L’inconscio è quella struttura animata da archetipi che sono i principi fondamentali che strutturano tutta la realtà (l’archetipo del “sé”, l’archetipo del “padre”, della “madre”) e che poi si incarnano e si individuano nella vita di ogni giorno.
Adler dà scarsissima importanza all’inconscio e risolve tutto in termini di volontà di potere e quindi di complessi di inferiorità, quando c’è l’impossibilità di affermare il nostro potere sugli altri.
Man mano questa concezione di inconscio è venuta diluendosi fino a dire che l’inconscio è la struttura di fondo che ci permette di parlare, di pensare.
Per Freud, invece, l’inconscio era determinato dalle rimozioni di emozioni connesse ad esperienze negative. Quindi neanche l’inconscio, che dovrebbe essere l’oggetto della psicoanalisi, è un oggetto ormai così accettato, in senso freudiano, da costituire il punto comune di tutte le psicoanalisi.
L’inconscio è costituito da cariche libidiche che non hanno potuto esprimersi ed incanalarsi nelle maniere debite. La libido, però, non può mai incanalarsi nella maniera debita in quanto tende ad una scarica immediata e, poiché è impossibile operare questo sistema idraulico di carica e scarica continua, questa carica deve essere dilazionata, o investita su sé stessi, oppure rimossa. Ecco perché secondo Freud siamo tutti in uno stato di nevrosi generalizzata, perché nessuno può scaricare immediatamente le sue cariche libidiche. L’inconscio è fatto di tutte queste cariche conservate, che quando sono incontenibili diventano psicosi.
Il modo che ha Freud d’intendere l’uomo è un modo meccanico, alla stregua di un sistema idraulico di cariche e scariche, un sistema economico di conservazione d’energia. Freud, in fondo, si basava sui primi due principi della termodinamica: il principio di conservazione dell’energia e la legge dell’entropia. Ecco perché Freud usa il termine “psicoanalisi”: il suo è un tentativo di ridurre la psiche a realtà biologica. L’uso di un linguaggio psichico è solo un fatto transitorio per descrivere fenomeni che sono chimici e fisici; ma un giorno questi fenomeni chimici e fisici non saranno più espressi in termini psichici, ma, appunto, in termini chimici e fisici. Seguendo l’ottica di Freud, cosa significa, dunque, “psicoanalisi”? Non qualcosa di buono: analisi della psiche significa disgregazione della psiche, distruzione della psiche per ridurla ad un fatto biologico. Dovunque ci sia un tentativo di riduzione, qualcosa viene sempre perso. Che cosa si perde? Si perde ciò che è strettamente umano. Se tutto viene ridotto al biologico, il concetto di “io”, che è un concetto psicologico, ha soltanto una funzione linguistica. È possibile questa riduzione? Secondo Freud è possibile. Vedremo, invece, che tutto l’impianto psicoanalitico junghiano va in direzione opposta, non c’è nessuna riduzione dello psichico al biologico. Freud, invece, vuole ridurre lo psichico al biologico e il “biografico storico”, cioè la vita di ognuno di noi, viene ridotto alle due categorie di “evoluzione” e “dissoluzione”, cioè ogni organismo si evolve e si dissolve. Le due famose pulsioni di cui parla Freud, la “pulsione di Eros” e la “pulsione di Thanatos” (“Eros” è il principio di vita; “Thanatos” è il princpio di morte) non sono altro che le categorie biologiche della evoluzione e della dissoluzione. Ciò che fa soffrire Freud è il sentirsi ancora costretto a parlare di fenomeni chimici e fisici in termini di “io”, di persona, di uomo, di donna, di relazione, di amore e di passione. Tulle le parole che Freud usa (“spostamento”, “degressione”, “conservazione di energia”, “investimento energetico”) sono tutti termini che sanno di fisica.
La topica psichica, per esempio: sopra l’“io” c’e’ “il super-io”, sotto l’“io” c’è l’“es”. Tutta la topica si rifà alla neuropsichiatria del suo tempo, per cui la coscienza era ritenuta l’epifenomeno delle zone corticali del cervello; gli istituti, invece, erano ritenuti epifenomeni delle zone sub-corticali. L’impianto psicofisico – cioè la psiche come fisica – Freud l’ha mutuato da quello che poi diventò un suo seguace: Fenknel. L’impianto neuropsichiatrico l’ha preso da Jackson. Lui stesso cita le fonti da cui ha preso le categorie di fondo per impiantare la sua psicoanalisi che, ripeto, è un tentativo di ridurre lo psichico al biologico, al fisico e al biochimico.
Quindi per capire la psicoanalisi dovremmo avere chiare certe nozioni di fisica e di biochimica. Naturalmente questo è un modo di studiare l’essere umano come oggetto di scienza.
Che cosa è l’essere umano? È un atto intenzionale. “Intenzione” vuol dire “tendere in”. Questo è l’essere umano. Come si fa a tradurre questo “tendere in” in termini fisici e biochimici? Bisogna negare tutto ciò che è specificamente umano. Naturalmente non c’è solo la psicoanalisi freudiana.
DOMANDA: “Hai detto che il principio della psicoanalisi, per Freud, si identifica nella uccisione del padre: allora perché Freud ha necessità di uccidere il padre, se nella sua ottica il dato psichico si riduce al dato fisico?”
RISPOSTA: Uccidere fisicamente il padre? Fortunatamente no.
DOMANDA: “E allora lui che cosa intende per “uccisione del padre”?”
RISPOSTA: “Uccisione del padre” nel senso che l’autorità paterna blocca l’attività del figlio, perciò è necessario che il figlio, per dare inizio alla sua storia, lasci il padre alle sue spalle. Se il figlio sta sempre di fronte al padre, la storia del figlio non ha inizio. Ma anche il figlio, dopo aver dato le spalle al padre, diventa lui stesso padre. Diventando padre sa che c’è bisogno della legge, c’è sempre bisogno del padre, allora deve ricostruire la figura del padre. Il padre è come colui che mette legge nel disordine primordiale. Ma questo viene tradotto in termini fisici e biochimici, nel senso che la legge del padre impedisce le scariche immediate e quindi favorisce il principio di conservazione dell’energia e l’investimento di questa energia conservata in altre attività, che sono quelle socialmente accettate: così abbiamo il fenomeno della “sublimazione”. Se non ci fosse il padre con la sua legge ad impedirci di scaricare immediatamente le nostre energie libidinali, ci sarebbe una successione continua di carica e scarica e non avremmo mai, per esempio, il tempo di scrivere una poesia. Quando diventiamo poeti? Nel tempo che intercorre tra il desiderio e la sua realizzazione. Se c’è un vuoto tra desiderio e realizzazione, in questo tempo dell’assenza si costituisce l’arte, perché l’arte ha la funzione di rendere presente, in maniera immaginaria – Platone diceva in maniera falsa, cioè l’arte come imitazione dell’imitazione – l’oggetto del nostro desiderio. Se invece la scarica fosse immediata non ci sarebbe il tempo per questa espressione, per la sublimazione di queste energie conservate e investite in altro.
DOMANDA: “E a questo punto, per Freud, l’emozione dove si colloca?”
RISPOSTA: È proprio questa scarica che non deve essere immediata, ma ritardata nel tempo.
DOMANDA: “Prima hai detto che la storia del figlio inizia con l’uccisione del padre, ma che poi si ricrea la figura del padre: quindi l’uccisione del padre non avviene mai?
RISPOSTA: Il figlio diviene lui padre, ma ha bisogno di un padre eterno, altrimenti l’uccisione continua. La prima uccisione del padre, quella primordiale, è stata fisica; poi le uccisioni sono solo rituali. Il sacrificio che sta al centro della religione è proprio il sacrificio offerto al padre che prima è stato offeso, cioè ucciso, ma del quale, poi, se ne avverte l’importanza della presenza: attraverso il culto si ritrova questa grande figura del padre. Freud spiega il formarsi del Dio-padre attraverso questo meccanismo di uccisione e di risuscitazione del padre fisico. Attraverso il culto nascono le leggi per tutta la comunità. I tabù sono tabù derivanti dal culto, dal sacro – dice Freud – perché “padre” e “legge” sono la stessa cosa. Il padre deve essere visto con l’aureola del padre eterno.
DOMANDA: “Ma questa è una concezione materialistica, poiché c’è stata una osmosi tra il Marxismo e la psicoanalisi.”
RISPOSTA: Il problema grosso del marxismo è quello della legge della classe dominante, che crea la sovrastruttura economica attraverso la sua legge. È chiaro che in questo senso Marxismo e psicoanalisi si sposavano. Soltanto che, mentre il Marxismo ha una concezione rivoluzionaria, nel senso di abolizione definitiva del padre e della legge, Freud, invece, è molto più attento, perché sa che del padre e della legge c’è sempre bisogno. Ecco perché si sono sposate con il marxismo solo alcune frange della psicoanalisi, soprattutto francese. Nell’Unione Sovietica Freud era scomunicato, non poteva entrarci, perché il freudismo era considerato un pensiero borghese, in cui deve essere sempre presente la legge.